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Perceptions

Perceptions - mostra personale di Giovanni Loy a cura di Roberta Vanali.


Da giovedì 26 settembre a domenica 13 ottobre.

Aperta dal giovedì alla domenica dalle 18 alle 20.

Ingresso a offerta libera.

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TESTO CRITICO.

“Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo così com’è: infinita.” (William Blake)

 

Nonostante possa apparire il contrario, è abissale la distinzione tra guardare e vedere. Guardare significa volgere lo sguardo verso qualcosa per ricevere passivamente uno stimolo visivo mentre vedere implica la volontà di scrutare la realtà che ci circonda. Di percepirla attraverso la vista. Sostanzialmente la differenza sta nell’acquisire coscienza della realtà per mezzo dei sensi e dell’intuito. Ma il nostro occhio non registra fedelmente ciò che ha davanti dal momento che compie una scansione delle immagini che risulta differente per ogni individuo. Il nostro cervello riesce ad individuare le peculiarità di un’immagine che diventa relativa, così il come colore, la dimensione e la forma. Non a caso Gropius sottolinea: Chi compone deve imparare a vedere, deve conoscere gli effetti delle illusioni ottiche, le influenze psicologiche dell’ombra, dei colori, delle tessiture edilizie; deve conoscere gli effetti di contrasto, di direzione, di tensione e di riposo.

Cultura, interessi, inclinazioni e ambiente ci conducono ad una percezione della realtà individuale poiché frutto dell’elaborazione mentale attraverso i processi cognitivi, ossia gli stimoli provenienti dai vari organi sensoriali. Un insieme di relazioni dove ogni cosa assume un significato in base alle altre, poiché tendiamo a individuare ogni cosa per comparazione e/o contrapposizione. Un esempio significativo, che offre due distinte interpretazioni, potrebbe essere quello del celebre vaso di Rubin, una serie di figure bidimensionali, elaborate dal filosofo, dove si possono distinguere due profili neri su sfondo bianco, oppure un calice bianco su sfondo nero. Quando due campi hanno un confine comune e uno è visto come figura e l’altro come sfondo, la percezione immediata che si ha, è caratterizzata da un effetto “ritaglio” che fa emergere una forma dal bordo comune ai due campi (sfondo e figura) e che agisce solo su uno dei campi oppure con più forza su un campo rispetto all’altro, a detta del teorico. Senza dimenticare le illusioni ottiche del fantastico mondo di Escher, che presuppone paradossi percettivi. Tutto ciò per giungere alla conclusione che quello che vediamo non è esattamente come appare e la percezione spesso è alterata da una visione superficiale. Pertanto mettendo a fuoco un’immagine ciò che io vedo sarà certamente diverso da ciò che vede un altro individuo.

Muovendo da queste premesse Giovanni Loy elabora immagini che aprono varchi all’immaginazione poiché la visione si divide, si lacera nel suo stesso interno tra vedere e guardare, precisa l’artista e prosegue: intendo la fotografia come presentazione e rappresentazione di un’immagine che si apre alla vista come qualcosa che non si lascia cogliere e quel qualcosa è come l’oblio, cioè l’immagine è nello stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che abbiamo dimenticato. Perciò essa si presenta nella sua opacità come verità da disvelare e che mai sarà disvelata pur catturando il nostro sguardo. La strutturazione dell’opera, per l’artista, non può prescindere da alcune regole che governano la percezione visiva e che trovano il loro riscontro nelle teorie gestaltiche. Ovvero, attraverso la manipolazione di stoffe cangianti, piegate, arrotolate su se stesse, goffrate e stropicciate che si accostano e/o si sovrappongono per lucentezza e/o opacità, coadiuvata da fonti luminose direzionate al fine di ottenere contrasti netti o morbide sfumature, Giovanni Loy indica una direzione

mai univoca. Suggerisce delle forme producendo stimoli visivi che, a seconda dell’organizzazione per vicinanza, somiglianza, contrasto o sfondo subiscono una trasformazione che giunge al nostro occhio in maniera individuale, per una rappresentazione illusoria del mondo. Dal momento che la percezione visiva altro non è che una complessa interpretazione della realtà espressa dall’intelletto.

Lo spazio diventa teatro di immagini ambigue al limite dell’alienazione, talvolta impostando per accumulazione altre sottraendo per giungere ad una sintesi formale, altre ancora procedendo in maniera inconscia, quasi medianica. Il gioco dei significati e l’ambivalenza formale, avvalorati da titoli che suggeriscono un orientamento ma che in base agli stimoli e all’esperienza potrebbero ulteriormente trarre in inganno, sono i tratti dominanti di questo progetto fotografico. Al confine tra realtà e finzione. Tra illusione e seduzione. L’ingegno e il disegno sono l’arte magica attraverso cui si arriva ad ingannare la vista in modo da stupire. (Gian Lorenzo Bernini)

 

Roberta Vanali

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